Gli uomini che uccidono le donne sono uomini che le donne le odiano. Elementare. E invece no.
La narrazione dei femminicidi, narrazione intrisa di colpevole ignoranza, racconta una storia di uomini che amano troppo, di uomini che non accettano una separazione, di “compagni” distrutti dal dolore, e questi uomini sono sempre messi al centro della narrazione. Sempre loro, al centro. Non sono assassini ma uomini “disperati”.
Le morte fanno da sfondo alla narrazione, sono l’occasione, quasi fortuita, del racconto.
Io accuso gli autori della narrazione di complicità negli assassinii.
Anzitutto perché la narrazione é ancora violenza, e ancora violenza sulle donne.
In secondo luogo perché la narrazione contribuisce a creare la trama in cui altre donne decideranno di restare intrappolate piuttosto che tentare di essere libere di scegliere la propria vita.
Cominciamo col dare un nome alle cose.
Nonostante la narrazione colpevole e ignorante, questi uomini non sono “compagni”, casomai ex. Sempre si possa usare un termine che implica amicizia in uomini che non sanno cosa l’amicizia sia.
Nonostante la narrazione colpevole e ignorante, questi uomini uccidono non per troppo amore ma perché amore non c’è mai stato. C’è stata invece un’appropriazione indebita di un corpo e di un’anima.
L’amore, quando è amore, non svanisce, non evapora, resta “il bene”. E l’amore, finendo, lascia preziosi residui che si chiamano amicizia e rispetto.
Giacchè l’amore, amicizia e rispetto li presuppone.
Se evapora, senza lasciare queste due cose, non c’è stato amore. C’è stata la pantomima dell’amore. Quella in cui si recitano le caratteristiche dell’amore. E l’amore si recita per un sacco di cattivi motivi.
L’amore quando è amore parte sempre dal rispetto dell’individualità dell’altro. Dal rispetto della sua integrità. Chi ama e smette di amare non dimentica l’altro. Sia in quanto altro di per sè, sia la sua specifica individualità. Cioè, i suoi valori, le sue convinzioni, le sue priorità. E le rispetta.
Chi usa violenza alla fine di un amore, fisica o psicologica, non ha mai amato. Ha bluffato, ha giocato all’amore. Per i suoi fini. La persona “amata” è stata un mezzo utile allo scopo.
Per apparire, per mostrarsi, per gloriarsi, per affermarsi.
La fine di un amore racconta sempre l’amore che è stato. Non è un episodio che insorge all’improvviso. La fine di un amore senza amore è un condensato della relazione. È semplicemente rivelatore delle dinamiche interne all’amore senza amore: l’assenza di rispetto, di amicizia. E di bene. La negazione del valore della persona che si dice di amare. Perché persone non sono mai state. Ma abbellimenti del sè. Espressione del loro valore: sei mia, ti possiedo perció io valgo. In fin dei conti l’amore senza amore rivela un vuoto abissale, persone che non sanno darsi un’identità senza usare altre persone. Questi uomini pretendono perfino di insegnarlo l’amore: se non fai così, se non provi questo in questo modo non mi ami.
Amami. Baciami. Dimostra al mondo che sono amabile. Facciamoci un selfie tra una violenza e un’altra.
Ma dell’amore non sanno nulla.
E l’altra sapendo di amare e amando, si sforza di amare/fare/vivere come lui vuole. Sentendosi sbagliata per non riuscire fino a morire prima di morire.
Finché non decide di rinascere. Finalmente comprendendo che sbagliata non è e decide di tornare a vivere.
Ma l’amore senza amore non lo consente. Al massimo, se trova un mezzo più utile al fine, sostituisce. Ma le dinamiche della relazione conclusa sono le medesime indipendentemente da chi vi ha messo fine: l’altra va annientata. Non è stata all’altezza del compito. Fine.
L’amore senza amore è diffusissimo. Esplode nei femminicidi, implode nei tradimenti, nelle violenze, nelle menzogne che ascoltano i muri delle case.
L’amore senza amore è dietro ogni angolo. Perché nessuno si incarica di stanarlo. Nessuna riflessione. Nessuna narrazione. Ma complicità e ignoranza.
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