Mi chiamo Penelope e dicono che non ho viaggiato.
Dicono che sono rimasta a casa, rimasta ad aspettare.
Che per questo ero fatta, per tessere e sfilare. E invece.
Io dico. Che.
Chè solo per la mia musa io posso dire.
Nessuno di loro viaggió più di me.
Io ferma io in movimento. Da me e verso me.
Terra di conquista. Alla riconquista.
E contro. Contro gli eroi, gli eroi grazie a me. Alla sottrazione di me a me.
Canto il viaggio feroce verso la terra mia, dove mi dissero non padrona ma serva.
Canto quelli che per me furono porti e per loro scarpe, canto libertà e indipendenza.
Canto la fatica di nominarli e poi di approdarvi.
Canto la strada per la consapevolezza, canto la riconquista dell’istinto, canto la magia della fiducia, e canto la sacralità dell’onestà.
Canto ogni stanza tutta per me.
E canto il bene. Il bene che mi lascia dire cos’è il mio bene.
Dicono che tessevo.
Dicono che sfilavo.
E un po’ è vero.
Vero anche l’inganno. Il loro.
Vero il sudore.
Vero il viaggio.
Vero l’amore.
Vera la voce.
E vera ogni sosta.
Mi chiamo Penelope e sono colei che sa. Che può narrare la sua storia.
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