Un giorno una tigre venne attaccata da una banda di bracconieri. Gravemente ferita, riuscì però a sfuggire all’imboscata. Debole e sanguinante si avvicinò faticosamente ad uno stagno per rinfrescarsi. Quando riuscì ad arrivare all’acqua sentí la morte assai vicina. Senza alcuna speranza, accostò il muso all’acqua e cominciò lentamente a dissetarsi. Via via che beveva prese a sentirsi sempre meno debole. Ad ogni goccia d’acqua sembrava corrispondere una sferzata di sangue nuovo nelle vene. Senza smettere di bere, alzò finalmente lo sguardo e si accorse che lo stagno era ricoperto di enormi e candidissimi fiori di loto. E che il sangue che scorreva dalle sue ferite li lambiva senza sporcarli. E che più beveva, più ritornava forte. E che più ritornava forte, meno sanguinava. E che meno sanguinava, più limpido tornava lo stagno. E più candidi i fiori. Ormai abbaglianti nella luce del giorno.
Quando fu dissetata, e guarita, la tigre fece un passo indietro, accolse dentro di sè la bellezza dello stagno, e con estrema eleganza e profonda gratitudine vi si inchinò. E con una preghiera muta ringraziò il loto che intatto dalla palude emerge candido a ricordare ad uomini e tigri che il male può essere mondato e la vera forza mai fiaccata.