Guarire dalla depressione comporta un atto di volontà. Ovvero l’atto più difficile da compiere per un depresso. Nel non riuscire a compierlo il depresso deve digerire anche lo stigma che ne deriva tra le persone che lo circondano : è uno incapace di reagire, uno che ama fare la vittima. E questo alimenta il senso di colpa, la convinzione ben radicata in un depresso di essere un buono a nulla. Per non alimentare questo supposto “vittimismo” spesso le persone care gli negano l’unica cosa che cercano: gesti di affetto e comprensione.
La depressione colpisce in Italia quasi tre milioni di persone, spessissimo donne e anziani. Che vivono questo stato nella più totale solitudine, e nell’ignoranza di chi li circonda.
A volte accade anche che nel compiere il primo difficilissimo e necessario atto di volontà, rivolgersi ad un professionista, si incorra nella sfortuna di sbagliare. Che non significa necessariamente che si sia scelto lo specialista incompetente. Può darsi semplicemente che non sia quello giusto per sè.
E la situazione si complica ulteriormente. Perché il depresso non ha gli strumenti per capirlo. Sa solo che non ha voglia di vedere regolarmente, come dovrebbe, chi lo ha in cura. E questo peggiora la situazione accrescendo il senso di colpa. Fomentato, nuovamente, dalla “disapprovazione” delle persone care che, dichiaratamente o velatamente, lo accusano di non volersi seriamente curare. Un circolo vizioso, un viluppo di frustrazione.
A chi sta vicino ad una persona depressa spetta un duro compito. Un percorso fatto di inevitabile dolore. La prima cosa da chiedersi è se si è disposti a farlo. Ma se si risponde affermativamente bisogna impegnarsi. E l’impegno, comporta, insieme a tutto il resto, che ci si informi. Anche in modo da captare i segnali che il depresso non è in grado di captare.
Perché dalla depressione si guarisce. E spesso se ne esce migliori. Più forti. Più maturi. E con un carico di amore da donare a chi non ci ha lasciati soli.